MOBILIZZAZIONE DEL PAZIENTE POLITRAUMATIZZATO IN TERAPIA INTENSIVA, TECNICHE E AUSILI
Il trauma è una lesione causata nell’organismo da un agente esterno qualunque, in modo rapido, improvviso, contraddistinto da forte violenza (incidente, colpo di arma da fuoco, violenze a vario titolo).
Il politrauma è la presenza di lesioni a carico di due o più distretti del corpo (cranio, arti, addome, bacino) con grave compromissione delle funzioni sia respiratorie che circolatorie. È la causa di morte più frequente in Italia nella popolazione di età inferiore ai 40 anni; in molte persone i danni fisici e cognitivi sono permanenti e invalidanti. Fondamentale per ridurre le conseguenze più gravi è il soccorso preospedaliero che negli ultimi anni ha visto crescere continuamente la professionalità del personale e la continua formazione; la gestione intraospedaliera invece mira all’esito delle cure e a soluzioni definitive per il paziente.
In molti casi sono necessari uno o più interventi chirurgici per ridurre le lesioni e arrestare le eventuali emorragie (chirurgia addominale d’urgenza e neurochirurgia nei casi più gravi). A seguire ci sono gli interventi di tipo ortopedico per ridurre le fratture o gli interventi di ricostruzione che sono successivi a quelli che nell’immediato sono necessari a salvare la vita della persona. All’arrivo di un paziente politraumatizzato in ospedale, si attiva un Trauma Team formato da un medico rianimatore, che fa da coordinatore, due infermieri di area critica, un medico radiologo, un tecnico di radiologia e il medico di Pronto Soccorso.
L’attivazione del Trauma Team avviene già dalla centrale operativa del 118 prima che arrivi il paziente, in modo che in pronto soccorso si preparino nel modo più consono e non sia accolto con ritardo. Una volta che il paziente è stato stabilizzato, viene trasferito in rianimazione e terapia intensiva, dove è sottoposto a monitoraggio avanzato, continuo a volte invasivo; in particolare in terapia intensiva si tenta di prevenire eventuali danni secondari che possono causare il decesso del paziente anche a giorni o settimane di distanza.
La gestione del paziente critico politraumatizzato richiede competenze infermieristiche di tipo avanzato, anche perché le stesse manovre di nursing possono avere esiti sul paziente. Il paziente della terapia intensiva è critico per definizione, in quanto instabile sia dal punto di vista neurologico, respiratorio e neurologico; per questo molto spesso il problema della mobilizzazione passa in secondo piano in quanto non viene considerato di primaria importanza.
È comunque dimostrato che una mobilizzazione precoce non solo aiuta il recupero nella fase post acuta ma porta giovamento al paziente anche nella fase critica: accelera il recupero della respirazione, della circolazione e della mobilità spontanee. La mobilizzazione, quindi, deve essere parte integrante del percorso di cura del paziente, soprattutto in quei pazienti sottoposti ad un ricovero prolungato che subiscono gli effetti dell’allettamento (la sindrome da immobilizzazione) e che vedono prolungarsi i tempi di un adeguato recupero.
I passi che deve percorrere un paziente ricoverato in terapia intensiva sono stati elencati da uno studio del 2008 di Morris et altri, dall’arrivo fino alla sua dimissione. Sono sostanzialmente quattro step che porteranno il paziente dall’immobilità pressoché totale fino a camminare e ad effettuare i vari passaggi (letto – carrozzina, deambulatore, etc.). Al di là della patologia, in terapia intensiva ci sono comunque anche altri limiti alla mobilizzazione, ad esempio i presidi a cui è collegato il paziente (pompe siringa, pompe per la nutrizione); il monitor parametrico a cui è collegato; la sedazione eventuale e lo stato di coscienza; oltre ai vari cateteri venosi centrali, periferici, cateteri vescicali etc. Le principali controindicazioni alla mobilizzazione sono: problemi di adeguamento pressorio, aritmie cardiache, agitazione del paziente, fratture, addome aperto, instabilità del rachide cervicale.
Più è stabile il paziente, maggiore deve essere il lavoro del fisioterapista; la mobilizzazione prevede: tecniche di mobilizzazione passiva, mobilizzazione assistita (prevede la collaborazione del paziente in modo attivo), esercizi sulla postura che il paziente effettua in autonomia.
Le tecniche di mobilizzazione passiva comprendono: il posizionamento del paziente a 45° che si effettua con l’ausilio del letto, previene il reflusso gastro esofageo ed il rischio di ab ingestis; il decubito laterale che aiuta nella prevenzione delle lesioni da pressione e la ventilazione nei pazienti che hanno patologie polmonari; la pronazione, che permette di migliorare la ventilazione polmonare soprattutto nei pazienti con distress respiratorio acuto; movimento rotazionale continuo, che si ottiene con il basculamento continuo del letto e riduce la stagnazione delle secrezioni nei polmoni. Le tecniche di mobilizzazione assistita prevedono la collaborazione del paziente all’interno del letto, in collaborazione con l’operatore.
È prevista la mobilizzazione delle gambe e delle braccia, in modo da attivare le articolazioni e stimolare il recupero funzionale. Gli esercizi posturali, che vengono eseguiti dal paziente in autonomia, invece comprendono: stare seduti sul bordo del letto; mantenere la posizione eretta; camminare con aiuto o senza; poter effettuare esercizi da seduto.
Per la tipologia specifica del paziente, la mobilizzazione deve essere graduale e progressiva; l’operatore socio sanitario, come sappiamo, è competente nella mobilizzazione del paziente allettato, tuttavia in quanto trattasi di terapia intensiva, l’OSS mobilizza il paziente critico in stretta collaborazione e su indicazioni precise sia dell’infermiere che del fisioterapista, nei modo e nei tempi da essi indicati e con gli ausili specifici caso per caso.